Auguratemi buon viaggio


racconto di Fabrizio Canciani
Antonius Block, nobile cavaliere scandinavo, al ritorno dalle crociate in Terra Santa, trova la morte ad attenderlo sulla spiaggia. Lei vorrebbe portarselo via ma il cavaliere decide di sfidarla a scacchi. Una sfida impari, la morte conosce mille trucchi, è invincibile. Lui cerca solo di guadagnare un po’ di tempo, solo un po’ di tempo. Giusto la durata di un film: Il settimo sigillo di Igmar Bergman.
Io non tornavo da nessuna crociata, detesto le crociate, persino le parole crociate mi annoiano.
Io avevo la mia vita.
E mi piaceva. Anzi, stavo attraversando un periodo davvero felice, e non è così scontato di questi tempi.
Ma un giorno, tornando a casa, ho trovato anch’io un’avversaria ad attendermi, a sfidarmi. Non sulla spiaggia, in cucina, a cena.
La morte? No, peggio, peggio. Intanto la morte gioca a scacchi, ti siedi lì bello tranquillo, muovi i pedoni, ci ragioni, non puoi sperare nella fortuna ma solo nell’ingegno, e se sudi è solo per la tensione.
La mia avversaria gioca a tennis, sport fisico, dinamico, che ti toglie le forze. Finisci un set che sei sfiancato. E lei è fortissima, possiede la potenza di Borg, la classe di Lendl, l’estro di Mc Enroe, la costanza di Agassi, o, se vogliamo, il carisma delle sorelle Williams messe assieme. Picchia duro, durissimo.
E io… io non ero pronto, ero senza allenamento, non me l’aspettavo. Nessuno mi aveva mai detto che, un giorno, avrei dovuto affrontare una simile sfida. Già, nessuno avvisa mai. Voglio dire, un cavaliere che va alle crociate, torna poi in un paese devastato da un’epidemia di peste nera, beh, se lo può aspettare di trovarsi di fronte alla morte, magari non in spiaggia, magari non con le sembianze di un attore svedese, Bengt Ekerot, comunque, ci sta. Ma io… io non avevo alcun sentore, nessun preavviso, nessun presagio di un simile repentino cambiamento della mia vita.
E invece eccomi qui, sul campo da tennis, la rete in mezzo, e la Fetente dall’altra parte. E neanche mi stringe la mano, del resto, essendo Fetente… parte subito con un servizio da paura, pam!, che botta.
E io ribatto, pof!
Pam, la palla torna di qua. Ma non dovrebbe avere un suono più delicato la pallina sulla racchetta? Mi ricordo un monologo di Gaber in cui faceva Tof! Qui fa Pam!
Pam, una volè: un primo disturbo alla mascella, io ribatto.
Pam, difficoltà nel masticare, e io di rovescio la ributto di là.
Pam, fatica nel parlare, rispondo con un diritto.
Fin qui, tutto sommato, sembra un’avversaria ancora abbordabile.
Pam, pof, pam.
È un continuo ributtare la pallina di là, ma il ritmo è ancora alla mia portata…
Pam, scheggio la pallina che rotola fuori dal campo. Ma, accidenti, non tocca mai a me il servizio?
Prendo io la palla e la scaravento di là con la forza della volontà: pof!
Ma ecco, improvvisamente, un suono diverso della racchetta: Sla!
Sla?
Che botta ragazzi! E che rumore sinistro, diverso e sconosciuto, uno smash, pam!  Sla!
Sla! Una sberla.
E lì è dura ribattere.
Calma, niente panico.
È ancora tutta da giocare questa partita.
Pam, prime timide difficoltà nel camminare; e via di rovescio.
Pam, meglio lasciar perdere lo scooter, troppo pericoloso.
Pam, le braccia cominciano a cedere.
Pant, uff, pant, sgrunt.
Comincio a sentire la fatica, il gioco si fa duro. Allora ricorro a degli ausili tecnici, i regolamenti me lo permettono. Supporti che mi tengono su il mento, perché bisogna tenere sempre la testa alta di fronte alla Fetente; che mi aiutano a camminare, perché devo restare in piedi davanti alla nemica; che mi permettono di mangiare e bere, perché devo rimanere in forma, nei limiti del possibile.
Pam, la palla di qua, mi allungo ma non riesco ad arrivarci, sto iniziando a lasciare troppi punti per strada. Ma era inevitabile.
Pam, sono sottorete ma la Fetente mi scavalca con un pallonetto.
Pam, che fatica, scheggio la pallina che rotola fuori dal campo.
E poi ancora: Sla!
Il corpo comincia a cedere, a perdere i colpi. Ma la mente è lucida, lucidissima, ancora più di prima. Non so se è un bene, George Bernard Shaw diceva che “per giocare a golf non è necessario essere stupidi, però aiuta molto”. E per giocare a tennis? Mi servirebbe più il corpo della mente, come si dice: mens sana in corpore sano… che grossa idiozia. Un giocatore di scacchi sulla sedia a rotelle non sarebbe credibile? E Stephen Hawking, matematico, fisico e cosmologo, condannato all’immobilità, come lo dobbiamo considerare?
Ah, se la mia fosse stata una semplice partita di scacchi, seduto a un tavolino, con la fronte appoggiata alle dita, pensieroso.
Invece: pof! Pam! Sgrunt… che suoni strani, come quelli della fontana di Palazzeschi, la fontana malata, appunto: Clof, clop, cloch, cloffete, cloppete, clocchete… che spasimo, sentirla tossire. Tossisce, tossisce.
Ecco! Clop è il suono giusto, abbastanza malato.
E cominciano le domande: ma perché è toccata proprio a me e non a quelli che hanno trascorso un’esistenza scellerata? Io, poi, non ho mai avuto niente di grave nella mia vita…
Beh, da piccolino, avrò avuto un anno o due, un febbrone misterioso stava portandomi via. Allora mia zia, devota di San Carlo Borromeo, mi mise addosso una sua immaginetta sperando nel miracolo, e la mattina dopo ero fresco come una rosa, non avevo più niente. Per anni mia zia ringraziò San Carlo, finché un giorno riguardando quell’immaginetta, si accorse che era del Cardinal Schuster, non del San Carlo, aveva sbagliato santo. E così, in teoria, avrei dovuto rendere grazie del miracolo ad Alfredo Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano dal 1929 al 1954, uno che tra le altre cose, fece celebrare una messa di ringraziamento nel 1935 all’indomani dell’invasione dell’Etiopia da parte delle truppe italiane, perché Dio proteggesse i soldati, impegnati a cristianizzare quei popoli. E non ha neanche una statua gigantesca come il San Carlone di Arona!
Ma al di là di Schuster, che evidentemente ha smesso di proteggermi quando ha scoperto che non condividevo l’invasione dell’Etiopia, le domande, le considerazioni vengono naturali.
Anche da parte di chi scopre l’improvvisa presenza di questa tua nuova indesiderata coinquilina.
“Proprio quello doveva capitarti? “ ti chiedono. Domanda retorica.
“Guardi, mio caro, non è che uno se li sceglie i propri malanni, sono loro che scelgono te. Magari preferirei un’emicrania anziché il mal di stomaco, o entrambi i disturbi più qualcosa d’altro piuttosto di quello che ho, ma tant’è.” Star bene è un privilegio non la normalità.
Pam, pof, clop, cloffete, cloppete, clocchete…
Chissà se alla Fetente verrà il braccino corto del tennista. Di certo non possono bastare i vari 5 per mille destinati alla ricerca per farla desistere, almeno non in questa fase. Adesso è lei la più forte, non c’è dubbio. Chissà poi se questi ricercatori, che setacciano la sabbia del fiume alla ricerca di granellini di speranza, stanno cercando nel punto giusto. Magari l’oro è un po’ più in là, e loro non lo sanno, o non lo vogliono sapere.
Pam, il fisico sta cedendo, lo spirito no. Clop.
Pam… Se cado faccio la fine delle tartarughe quando si ribaltano, avrei bisogno di un carro attrezzi. Clop.
Pam, un altro colpo a fil di rete, imprendibile. Come rispondo? Una badante, magari russa come la Sharapova, bella e brava. Maria idi sudà, vieni qua, dammi qualche dritta, e anche qualche rovescio, dasvidania. Clop.
Io, così giovanile, con la badante?
Già è stato uno shock quando ho scoperto che stavo cominciando a invecchiare perché, attraversando il parco Sempione, nessuno mi offriva il fumo…
Sto invecchiando? Magari potessi invecchiare. È un lusso che non mi posso più permettere: forse Marylin Monroe ci aveva visto giusto, con l’arte di invecchiare non si prova gusto.
Vedo passare la mia vita lungo la rete, net! Ah, ti ho fregata, brutta Fetente, non te l’aspettavi, hai visto che vita interessante? Niente di eclatante, però è stata piacevole. Non mi sono mai annoiato. Guarda, guarda lì, le foto in bianco e nero, la scuola, gli amori, la musica… Lo so, sono sempre stato come un vecchio menestrello rude e romantico, armato di chitarra con le corde arrugginite dal sudore delle dita, pronto a intonare languide ballate intorno a un fuoco. Sono un indomabile romantico, sensibile a ogni soffio di vento. Bastano poche note, un blues ma anche delle melodie più facili, basta un profumo nell’aria, perché il cuore si infiammi, perché salgano i brividi su per la schiena. E se potessi tornare indietro camminerei scalzo da marzo a ottobre inoltrato. Le stagioni che cambiano mi commuovono, i giorni di pioggia mi hanno sempre fornito la giusta dose di dolce malinconia, e..
Pam! Pioggia sì, ma dalla finestra di un ospedale.
Gelo.
No, no, devo reagire con armi che la Fetente non conosce: l’ironia, il sorriso, già… il sorriso. Clop.
Ho perso anche il sorriso, pam! È rimasta solo una smorfia indefinibile e fissa che ti uniforma agli altri della tua squadra. Un marchio di fabbrica della Fetente: occhi sbarrati e smarriti, labbra distorte.
Clop. Bisogna esorcizzare con la leggerezza, l’umorismo… ridere della Fetente.
Ecco sì, ridere. Una voce flebile al telefono: “Dottore, dottore sono Brambilla, ricorda? Ero venuto da lei perché mi sentivo molto stanco”. “Certo Signor Brambilla, adesso come sta?”. “Dottore, non riesco ad aprire il flacone delle medicine!”
È più facile con le battute macabre: al mio paese c’è un cimitero tranquillo, i becchini hanno un sacco di tempi morti.
Oppure si può esorcizzare con la musica…
Musica? Pam!
Clop. Faccio fatica a cantare, va bene, vorrà dire che reciterò soltanto.
Pam, le consonanti si imburrano.
Clop, d’accordo, evitiamo le declamazioni, mi basta almeno poter parlare normalmente. Mi accontento, no?
Io mi accontenterei, ma la Fetente no, non si accontenta, infierisce.
Pam, sono sempre meno comprensibile nel linguaggio, mi si è pure abbassata la voce, i miei interlocutori stringono gli occhi, avvicinano l’orecchio, dicono “Eh? Cosa?”. Porca miseria, quanti amici sordi mi ritrovo.
Be’,  posso sempre suonare la chitarra… e già, il dito del barrè si blocca, non ce la fa. Suono senza barrè, ma dopo un po’ neanche ce la faccio più a reggerla, la chitarra. Ho passato la mia vita imbracciando, abbracciando, la chitarra, accarezzandone le curve sinuose, torturandomi i polpastrelli nei pomeriggi di pratica, e ora la devo chiudere nell’astuccio insieme alle mie corde vocali. Riposa in pace vecchia mia, tanto prima o poi risorgerai tra le mani di qualcuno che ti farà di nuovo vibrare.
Ecco, scriverò testi, questo mi sarà concesso… ma le dita, dopo qualche battito si rifiutano di danzare sulla tastiera,
ma allora!
Insomma, sei proprio all’altezza della tua fama, orrida Fetente!
Non posso soffiare, non posso baciare, non posso andare in bicicletta, correre in un prato, vagabondare per la città,
sono persino costretto a prendere gli ascensori, io che odiavo star chiuso in quelle scatole d’acciaio e mi facevo anche dieci piani a piedi,
non posso addentare una bistecca, mangiarmi le unghie,
non posso fare come i sommelier… far passare il vino da una guancia all’altra… gustarlo…
I piaceri della vita mi stanno sfuggendo di mano, a poco a poco.
Se lassù qualche Dio mi vuole, che mi prenda tutto intero, non un pezzo per volta!
Che fortuna quell’ Antonius Block, vedersela con la morte, lì non c’è il dubbio del risultato, o si vince o si perde, qui invece si pareggia, si sta lì in un limbo, che non è un limbo (che è stato abolito dalla chiesa) è una terra di nessuno: i non morti, Nosferatu: “Voi, spero, mi scuserete se non mi unisco a voi, ma ho già cenato e non bevo mai… vino.”
Che poi, tutto sommato, si tratterebbe di anticipare un viaggio comunque inevitabile. I cercatori di pepite non troveranno in tempo l’elisir della vita eterna sulla riva del fiume o in qualche miniera. Allora perché agitarsi tanto per un anticipo sulla liquidazione? Teniamoci le lacrime per argomenti più frivoli. Commuoviamoci per un film o una canzone:
Anche per te, vorrei morire e io morir non so… pam!
Ha ragione Francois Truffaut quando dice che le canzoni più sono stupide e più dicono la verità.
Vorrei morire e io morir non so… be’, mettiti a viaggiare come un pazzo a fari spenti nella notte e vedrai che non è poi è tanto difficile morire.
Nelle canzoni è facile: Mi basta il tempo di morire tra le tua braccia così… ricordo, sono morto in un momento, mi ritorni in mente…
Nelle canzoni è facile, ma nella vita reale non è mica come dirlo.
È difficile morire, eccome.
Pam, Clop… cloffete, cloppete, clocchete…
Pam! Gli altri, gli incontri, il nuovo punto di vista. Persone che hanno intrapreso una lotta tenace, che non mollano, guerreggiano contro tutte le Fetenti mandate in terra da un angelo cinico. Fino ieri non le vedevi, quelle persone, o almeno, le avevi viste ma non osservate. Adesso per te è tutto più chiaro.
Clop. Vorresti urlare alle persone normali che quelli lì hanno un cervello che funziona, anche più del dovuto, ma che non è supportato dalle espressioni del viso e dai movimenti. Smorfie, gesti convulsi e illogici, nascondono menti lucide e prigioniere di un sortilegio. Cervelli impacchettati con un nastro adesivo, appiccicoso, che vorrebbero spedirsi via, lontano. Perdersi come bagagli smarriti, spegnersi come braci abbandonate, accartocciarsi come i fogli del calendario. Corpi sfiancati, frustati da sentenze, diagnosi, parole inutili. Incatenati nelle profondità di una caverna, la caverna di Platone, dove anche la testa e il collo, oltre le membra, sono bloccati, e gli occhi  possono solo fissare il muro dinanzi a loro. Occhi che non sono stanchi della vita ma del maleficio, dell’inganno che li aveva illusi di sentirsi immuni, chissà perché. Si nasce invincibili e, fatalmente, si muore da sconfitti. E in mezzo, una partita durissima, senza tregua, con pochi punti di ristoro.
Ci si aspetta sempre qualcosa di più dalla vita, invece si finisce a sparpagliare talento, a disperdere le qualità, convinti che il tempo ci sia concesso all’infinito. Ma il tempo scava solchi dietro di te, col cesello dell’artista, produce veleni che corrodono l’acciaio. Il tempo è dei filosofi, è un dubbio per i posteri, è un misterioso monolito. Il tempo ha preso a scorrere rumorosamente, prima era più silenzioso, al punto che sentivo scandire i secondi dalle lancette dell’orologio, tic tic, pam! Adesso scorre, ne sento il rumore, mi scappa dai polpastrelli delle dita, scivola come l’acqua. L‘acqua di fiumi senza granellini d’oro.
Il tempo è un’armata che ti affonda le ambizioni, le occasioni se ne vanno, e tu dici: sembra ieri. Il tempo scappa avanti quando non dovrebbe e poi rallenta invece di fuggire, conosce tanti stratagemmi, il tempo no, non perdona, altro che lenire i dolori.
È un nodo gordiano che ti stringe la gola, inestricabile. Il tempo para i colpi, e ti lascia lì con i tuoi sogni e le tue derive inconsolabili.
Pam, Pof… cloffete, cloppete, clocchete…
Ho ancora tempo? Posso anticipare la resa? Andare negli spogliatoi e salutare?
Lo so, la partita non è finita.
Ma se dovessi arrivare veramente stremato all’ultimo set, in tal caso: auguratemi buon viaggio.
Con dolcezza,
Fabrizio Canciani
 
Fabrizio Canciani – Scrittore, artista del teatro-canzone (ha partecipato al Festival Giorgio Gaber 2007 a Viareggio), cantautore, autore, laureato in Storia del cinema al DAMS di Bologna, ha attraversato vari modi d’espressione sempre attirato da nuovi progetti creativi. Ha pubblicato per Todaro Editore i gialli: “La regola della cattura”(2004) (con una nota in quarta di copertina di Enzo Jannacci), “Qualcosa che non resta” (2006) “Il mio mitra è il contrabbasso” (2007) “Acqua che porta via” (2010) e, per la collana Fiori neri, “Sporchi di luce”. In precedenza aveva dato alle stampe diversi racconti gialli per la collana “Oltre il giallo” usciti nelle edicole di tutta Italia, nonché il thriller umoristico “Il killer dei cacciatorini” (Greco e Greco). Nel 2011 è uscito “Gialli in un minuto” (Sagoma Editore), “una sfida letteraria: sciogliere nell’acido corrosivo della comicità il genere noir”. Con Stefano Covri ha inoltre dato vita al progetto “Delitti e canzoni” che nasce dall’idea di fondere la canzone d’autore, il cabaret e il teatro-canzone con le atmosfere noir e che comprende uno spettacolo, un libro edito nel 2008 (a cui hanno dato il loro contributo prestigiosi giornalisti, scrittori, cantautori, musicisti, attori) e un CD pubblicato nel 2009. Ultimo lavoro pubblicato “Dipingilo di nero” (2011) per Betelgeuse Editore.
Fabrizio muore di SLA il 25 marzo 2014 a 57 anni.

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