La sessualità nella Sla
![](https://www.aislaonlus.it/wp-content/uploads/2018/04/nemo-600-x-400.jpg)
Sono state 24 coppie ad essere coinvolte nel primo studio preliminare italiano sul tema della sessualità nei pazienti affetti da Sla, effettuato presso il Centro Clinico Nemo nel 2013.
A tornare sull’argomento e ad illustrarne i principali risultati alla comunità Aisla, in occasione della Conferenza dei Presidenti/Referenti delle Sezioni/Sedi Territoriali svoltasi a Roma lo scorso 20 aprile, è stata la dottoressa Gabriella Rossi, responsabile del GIPSLA -Gruppo Italiano Psicologi Sla: «E’ un argomento ad oggi ancora poco trattato – ha sottolineato la dottoressa Rossi – L’ intimità sessuale tra due partner è un aspetto di vita molto delicato ed importante».
A differenza di altre malattie neurodegenerative, come ad esempio il Parkinson, nella SLA non vi è un coinvolgimento funzionale delle zone connesse alla sessualità: «Il fatto che le funzioni sessuali, in un corpo deturpato dalla malattia, siano totalmente conservate rende ancor più necessari approfondimenti dal punto di vista psicologico e relazionale – ha sottolineato la dottoressa Rossi – Il cambio della percezione corporea ha sicuramente un forte impatto a livello psicologico sul singolo, ma anche sul suo partner: la tematica va quindi affrontata all’interno della relazione di coppia».
Dallo studio effettuato al Centro Clinico NEMO è emerso che «nel 50% dei casi l’intimità sessuale viene conservata, e che la presenza di rapporti intimi garantisce il mantenimento di una tenerezza e di un’unità di coppia che gioca a favore della qualità di vita del paziente ma anche del suo partner. La progressione della malattia e quindi il cambiamento corporeo non influenza l’unità e l’intimità di coppia, che dipende maggiormente dagli aspetti emotivo-relazionali. L’intimità continua quindi ad essere una parte importante della vita di coppia, favorendo quella coesione e quella vicinanza che pensiamo possa essere risorsa imprescindibile per fronteggiare la malattia».
Molto spesso gli stessi curanti si trovano spiazzati nel dover considerare quest’ultimo aspetto, a volto troppo imbarazzante per essere affrontato: «Tuttavia, la maggior conoscenza potrebbe aiutare i clinici nella gestione delle problematiche del paziente, e offrirgli la possibilità di affrontare le difficoltà connesse in modo da poter continuare a soddisfare il proprio bisogno e facilitare la relazione di coppia – ha concluso la dottoressa Rossi – E’ quindi indispensabile un’adeguata formazione ed attenzione da parte degli operatori, che non devono scappare di fronte alle richieste di “aiuto” dei pazienti né tantomeno negarle».